Basilica dei Santi Pietro e Paolo di Agliate

 

 

La Basilica dei Santi Pietro e Paolo è il principale luogo di culto cattolico di Agliate, frazione del comune di Carate Brianza.

Si tratta di una basilica romanica di tradizione architettonica ancora ottoniana, per lungo tempo creduta carolingia (IX secolo), risalente agli inizi dell’XI secolo.

Alla Basilica di Agliate ed al suo borgo, lo storico lombardo Don Rinaldo Beretta ha dedicato una monografia con puntigliose descrizione etnico-geografiche della Pieve di Agliate.[1]

La basilica è di stile romanico, a tre navate. La semplice facciata è a salienti e ricalca la struttura interna a tre navate, con quella centrale più alta delle due laterali. Ognuna delle tre navate possiede una porta di ingresso. Le decorazioni del portale centrale sono opera di ripristino, tranne i due piedritti decorati con un motivo ad intreccio, unici elementi originali. È presente inoltre un campanile, decorato tramite contrasto cromatico tra i corsi orizzontali in mattoni e ciottoli e gli inserti angolari in pietra

L’interno è formato da tre navate separate da due file di colonne di riuso, di origine romana così come i capitelli. La seconda colonna di sinistra in particolare è ricavata da una pietra miliare romana, sulla quale sono ancora visibili le iscrizioni originarie. L’interno della basilica, in penombra per via delle ridotte dimensioni delle finestre, presenta una notevole verticalità dovuta alla grande superficie muraria del cleristorio, un tempo ricoperto da un ciclo di affreschi ora interamente danneggiati e quasi interamente coperti. Il presbiterio è situato in posizione sopraelevata e per accedervi occorre salire una scalinata di 8 gradini. Sotto la zona del presbiterio è presente una cripta ad oratorio che si apre sulla navata mediante due bifore. Le colonnine della cripta sono sormontate da interessanti capitelli che sembrano riprendere in maniera stilizzata i contenuti del capitello corinzio

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Le origini storiche di Agliate, piccola e ridente cittadina posta nel cuore della Brianza, affondano nelle nebbie della preistoria quando, approfittando della posizione favorevole nei pressi del fiume Lambro, una tribù di passaggio decise di stanziarsi in quei luoghi. In quel tempo il fiume, allora ricco e fecondo, formava l’antico grande lago Eupili di cui oggi restano tracce nei laghi di Annone, Alserio e Pusiano. Gli studiosi, sulla base di rilevamenti e indicazioni geologiche, ritengono che il corso del Lambro formasse un piccolo lago proprio nelle vicinanze dell’antico insediamento di Agliano e che veniva usato come punto di approdo e di partenza per le necessità commerciali e di sussistenza degli abitanti.

Il ritrovamento nei pressi della Basilica di San Pietro ad Agliate di una serie di massi cupelliformi, fa pensare ad una ritualità religiosa di tipo funerario stante la difficoltà di ritrovare tracce di un probabile insediamento palafitticolo. Pur non essendo state trovate altre testimonianze relative a quel periodo, è facile intuire che le estese foreste, boschi, corsi d’acqua, grandi pietre, fossero dimora di riti e sacrifici propiziatori alle divinità della natura.

Terra di passaggio, la Brianza ha visto avvicendarsi nei secoli popoli diversi generalmente provenienti dalle grandi migrazioni indoeuropee. Uno di questi, gli Orobii, dopo essersi stanziati in Grecia, e precisamente nell’Eubea, sotto la pressione di altre genti furono costretti a ripartire e, approdati sui lidi italici e risalita la pianura, trovarono una confortevole sistemazione in un’area che possiamo definire compresa tra Como e Bergamo. Testimonianze di questo importante insediamento, che ha coinvolto anche la zona di Agliate, si possono ritrovare nei nomi di luoghi e di città di quest’area; basti citare le Alpi Orobiche, Robbiano, Introbbio e Monte Orobico. D’altronde, l’etimologia del nome Orobici (Oros-Bia letteralmente Monte e Vita) la cui libera traduzione da vivente nei monti, conferma il legame tra questa popolazione e i rilievi montani; prima dell’Eubea e poi della Brianza.

Gli Orobici, nonostante fossero un popolo combattivo e fiero, dovettero cedere il passo alla confederazione etrusca i quali, nel territorio che va dal Po alle Alpi con l’esclusione dell’area controllata dai Veneti, fondarono degli insediamenti come diretta emanazione delle loro tribù.

Agli Etruschi, si sostituirono i Galli Insubri, popolazione di origine celtica, i quali si imposero rapidamente in tutta la Padana definendo i confini di quel territorio che verrà ricordato come Gallia Cisalpina. In questo Agliate ottiene la dignità di capoluogo di un distretto celtico, diventando la sede centrale di un potente clan locale: è in questa fase che il nome Agliate sembra affermarsi storicamente.

La conquista romana non sembra modificare sostanzialmente la struttura socio-economica della zona; sorgono naturalmente le villae di coloni, caratteristiche del periodo che si integrano nel territorio lasciandoci a loro ricordo una serie di iscrizioni su are sacrificali, cippi funerari o stradali, monete e marmi.

è nota la presenza di un tempio pagano in cui si professava l’arte divinatoria il cui auruspice più famoso era denominato Veracilianus.

Circa sei secoli dopo la nascita di Cristo, con il declino dell’Impero Romano d’Occidente, il Cristianesimo sembra prendere il sopravvento sui riti pagani. Grazie soprattutto all’azione missionaria di sant’Ambrogio ad Agliate sorge una piccola chiesa destinata a diventare “Capopieve” in base alla divisione ecclesiastica di quegli anni; solo in questa chiesa si poteva amministrare il battesimo.

Tra IX e XI secolo, si fondano la basilica e il battistero di Agliate: una comunità di canonici predicava giornalmente la fede nel rispetto assoluto del voto di povertà, ospitalità ed attività contemplativa. In quel periodo di grande confusione, ricordiamo che vi erano due papi, la presenza di questi canonici rivestiva certamente un ruolo importante per la feste popolare.

Purtroppo non si hanno memorie storiche dei due secoli che passarono dalla fondazione della basilica al suo ordinamento in Collegiale Canonicale. Certamente il diffondersi in ogni borgo della Pieve dell’istituto parrocchiale rese solo onorifico il ruolo di Agliate.

All’inizio del secondo millennio, un periodo abbastanza tranquillo permise il riabbellimento della basilica; sospeso poco dopo probabilmente per mancanza di mezzi.

Nel corso dei secoli diversi arcivescovi e cardinali si dimostrarono interessati al mantenimento e all’abbellimento della basilica. è accertata la visita di Carlo Borromeo alla basilica di Agliate del 17 agosto 1578, durante la quale il marchese Guido Cubani e don Pietro Tonsi si offrirono di coprire le spese per riparare la chiesa; san Carlo ordinò che tale promessa venisse assicurata legalmente.

Nel 1730, il cardinale Odescalchi, considerate le condizioni disdicevoli del tempio, permise una questua nelle corti vicine per rimettere le elemosine nelle mani del prevosto di Agliate.

I restauri che ne conseguirono modificarono profondamente la struttura e l’immagine della chiesa.

I documenti storici che ricostruiscono la storia della basilica si fermano al 1759 per poi riprendere nel 1883, anno in cui un decreto arcivescovile sopprimeva la più antica delle pievi pur lasciandole la nomea di Chiesa Prepositurale, ma, di fatto, togliendo dalla sua giurisdizione le chiese di Carate e di Besana elevate loro volta al rango di pievi.

Nel 1874 una commissione straordinaria della Consulta Archeologica della Provincia di Milano, propose una serie di lavori riguardanti la basilica e il battistero che, dati gli alti costi, vennero attuati dopo oltre un ventennio dall’architetto Luca Beltrami coadiuvato dagli ingegneri Gaetano Meretti e Luigi Perrone.

Oggi la basilica si presenta con una facciata a salienti interrotti che rivela la tripartizione interna della chiesa.

L’interno presenta uno schema a tre navate absidale, senza transetto né tiburio; le navate, coperte da legno a vista, sono separate da due file di sette colonne piuttosto basse; alcuni capitelli sono costruiti con materiale di reimpiego.

Sotto il presbiterio e l’abside centrale si trova la cripta a tre navate e quattro campate, del tipo cosiddetto “ad oratorio” che si diffuse in tutta la Val Padana tra il X e l’inizio del XI secolo. La chiesa doveva essere interamente affrescata; il restauro del 1985-86 ha tentato di recuperare l’aspetto originale degli affreschi rimasti, che erano stati ridipinti durante il restauro di fine 800.

Accanto alla chiesa si trovano il battistero e un edificio medievale con i muri rinforzati a barbacane.

Il battistero presenta la soluzione, unica nel suo genere, della pianta a nove lati due dei quali compresi nell’abside. Il materiale costruttivo è simile a quello della basilica, con alternanza di tratti a spina di pesce e di grossi conci.

La superficie è coronata da una serie di fornici collocati in maniera disordinata. Sotto i fornici corre una decorazione di archi ciechi che poggiano su peducci a goccia. La parte sottostante, priva di lesene, ospita grandi finestre strombato. All’interno non compaiono, secondo un modello diffuso ad Arsago Seprio e Galliano, logge o matronei. La cupola è ad otto spicchi.

La datazione del battistero va collocata in un’epoca di poco successiva alla costruzione della chiesa, all’inizio dell’XI secolo.

 

Cominciamo dal settore presbitteriale; questo ambiente, a pianta rettangolare, è sormontato da una volta a botte su cui restano le tracce superstiti degli affreschi più antichi. Sui lati verso est e verso ovest, era delimitata da una fascia continua riccamente decorata da figure simboliche geometriche, fitomorfe e zoomorfe.

Al centro della volta è raffigurato il busto di Cristo Giudice iscritto in un clipeo e attorniato dai simboli apocalittici degli evangelisti; nell’angolo inferiore a sinistra, l’immagine è scomparsa, ma è deducibile che vi fosse rappresentato il LEONE-MARCO. Sullo stesso lato, al di sopra, resta un frammento del capo con aureola dell’UOMO-MATTEO. Immediatamente sotto l’immagine di Matteo, troviamo rappresentata la Madonna del Latte; sotto i piedi della Vergine, vi è una fascia bianca orizzontale destinata ad accogliere i nomi dei dodici Apostoli che erano in origine raffigurati sulla parte superiore del semitamburo absidale. Allo stato attuale restano solo avanzi delle prime due figure, partendo dallo spigolo di destra dell’abside nonché le relative denominazioni: il primo è Giacomo (IACHOBVS) il secondo è Andrea (¢ Andreas).

In basso a destra del Pantocratore rimangono tracce ben visibili relative al muso del TORO-LUCA, infine, al di sopra di questo, l’AQUILA-GIOVANNI. L’unico dei tetramorfi conservatosi in discreta percentuale.

Sia lo sfondo relativo al Pantocratore, che quello attorniante la Madonna del Latte, e gli spazi circostanti gli Apostoli, sono dipinti con un intenso azzurro cobalto.

Così come tutte le superfici murarie interne della zona presbitteriale e della navata maggiore, anche l’arco trionfale era affrescato; oggi restano pochi avanzi di questo fregio che si presume correva lungo la curva dell’arcato.

Le fasce verticali del fregio posto sulle due pareti maggiori della navata, si interrompeva in coincidenza con la fascia superiore orizzontale. Tale fascia orizzontale, che in origine decorava la sommità di tutte le pareti della navata maggiore, è scandita da rettangoli a fondo bianco e rosso entro; entro i quadri sono iscritti frontalmente i volti dei profeti, alcuni dei quali si sono conservati in discreto stato.

La parete nord della navata è decorata da due registri: in quello superiore sono rappresentate la Creazione d’Adamo, nel riquadro sinistro, e la Creazione di Eva nel riquadro di destra.

Nella fascia ornamentale sottostante, nonostante il grave degrado, è riconoscibile un pavone nel primo riquadro e un pesce nel quarto. Gli altri riquadri oggi sono illeggibili, ma sembra vi fossero rappresentati una barca nel secondo, un vaso con un ramo d’ulivo nel terzo e nel quinto una colomba.

Nel registro pittorico sottostante, danneggiato dalla costruzione di uno pseudotransetto effettuato nel Settecento, restano tracce sbiadite di tre riquadri relativi ad episodi del Nuovo Testamento. Nel primo, è rappresentata l’Annunciazione; il successivo è poco leggibile, ma vi va forse visto l’episodio della Visitazione con l’abbraccio di Maria e di Elisabetta. Praticamente illeggibile è il terzo riquadro, contenente forse la rappresentazione della Natività.

Per quanto riguarda i dipinti murali successivi a quelli altomedievali, non si sono conservate molte testimonianze. Oltre alla citata Madonna del latte e il santo vescovo che è a fianco, sulla parete nord della navata minore volta a settentrione è visibile, in discrete condizioni, un riquadro rappresentante la Madonna assisa in trono con in grembo Gesù. Sulla parete destra del presbiterio è visibile, seppure con difficoltà, un altro riquadro comprendente sulla sinistra un’altra sacra immagine andata persa a seguito dell’inserimento nella parete di una piastra recante a rilievo la croce della consacrazione del tempio; sulla destra si può scorgere una Madonna con Bambino. Ricordiamo, inoltre, un frammento di pittura tardocinquecentesca rappresentante in un tondo Dio Padre visibile sul semicatino absidale e, sul semitamburo absidale, in frammento illustrante la traditio legis, ossia la consegna delle chiavi a san Pietro da parte di Gesù, e una Madonna con in braccio il piccolo Gesù con un san Giovanni Battista.

(Tratto da: Oleg Zastrow, Gli affreschi di Agliate, Missaglia 1991, Bellavite Editore).

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