Senti chi firma
Lo scaffale di Nonno Santi
La città possibile, Ivan Della Mea, Jaca Book, 2012, 368 pagine, 22 euro
Per chi non se lo ricorda, Ivan Della Mea è il detentore della più intelligente battuta politica del XX secolo: “Ho capito che il comunismo non aveva avvenire quando ho visto che i giapponesi non lo fotografavano”.
Chi fosse Ivan, nel complesso, si legge in quarta di copertina, qui basta rifarsi alle parole di Moni Ovadia, che firma la prefazione: “Provo nei suoi confronti un insopprimibile risentimento perché ci ha fatto il torto di lasciarci così presto (Della Mea è morto nel 2009 aeco, 68 anni), e il torto lo ha fatto a me personalmente”. Anche a me.
E mi è venuto spontaneo andare a cercarlo negli scaffali, appena finito di leggere sul Corriere della Sera l’appello di 48 (anzi di Umberto Eco e altri 47) scrittori della scuderia Bompiani, che – col manzoniano titolo di “quel matrimonio non s’ha da fare” – tuonano contro il possibile acquisto della Rcs Libri da parte della Mondadori. Sorvoliamo sul lugubre numero (illeggiadrito solo da un film del1950 con Totò, “47 morto che parla”, di Carlo Ludovico Bragaglia), evitiamo anche maldicenze sul compatto manipolo mono-logo, capitanato da Eco (si esclude qualsiasi forma di sudditanza psicologica o di tornaconto interessato, applicando la proprietà transitiva alla sagace regola di Zsa Zsa Gabor: “nessuna donna si accoppia a un miliardario per interesse, poiché tutte hanno prima l’accortezza di innamorarsene pazzamente”), esaminiamo solo il testo nudo e crudo.
E’ una difesa dell’interesse della letteratura, minacciata dal possibile monopolio, che condannerebbe all’oblio piccoli editori, scrittori di genio e premi letterari non truccati.
E’ per questo che ho cercato Ivan, e, appena mi ricordo dove l’ho messo, cerco anche suo fratello Luciano e il suo romanzo “I senza storia” e anche Andrej Nicolaidis e il suo romanzo “Nel nome del figlio”, dal fulminante finale, pubblicato l’anno scorso dalla Zandonai di Rovereto. Che cos’hanno in comune? Che li abbiamo letti in 12 e che le loro case editrici (di nicchia) sopravvivono a stento o, a stento, muoiono. Molto prima che Rcs e Mondadori possano abbracciarsi. E ho voluto rileggere Ivan Della Mea, perché a me pare che già oggi i successi editoriali si legano ai cosiddetti “eventi”, fornelli o scudisciate che siano, sempre molto televisivi, comunque. E l’ho voluto rileggere perché anche a me è capitato di firmare appelli culturali progressisti, e non ne ho azzeccato uno. Perché, strano ma vero, sono sempre appelli conservatori basati esclusivamente sulle analogie col presente. “Il cinema non ha futuro”, è una previsione che viene dalla stessa famiglia dei Lumière. E gli illuminati scienziati della fine del XIX secolo deprecavano l’uso dissennato delle carrozze prevedendo che, nel XX, le città sarebbero state sommerse dallo sterco dei cavalli. Insomma forse quei 47+1 hanno ottime ragioni, ma, dopo averli letti, e davanti alla prospettiva che vincano loro, mi viene in mente anche Nereo Rocco: “Speremo de no”.