Distruzione totale

La Morandini dei poveri

 

“ Distruzione totale ”, meglio sarebbe stato “Disastro Totale” o addirittura – per lieve assonanza – “Distruzione Mentale”. I due protagonisti sono uno scienziato dalle fattezze incrociate di un Gianni Morandi anoressico con un William Dafoe smarrito e la collega scienziata pure belloccia perennemente in competizione con il mondo che hanno studiato per 15 anni come produrre energia illimitata. Finalmente ci siamo, ce l’hanno fatta! I dialoghi, profondi come se tratti dai saggi di Nietzsche o Proust, sono infarciti di teorie di fisica nucleare sulle equazioni di Klein-Gordon e di Dirac, con divagazioni sulla teoria dei gruppi e della simmetria Chirale oltre a cenni sulle correnti conservate e l’algebra delle stesse con approfondimenti sugli stati mesonici e dello spettro adronico così come il decadimento del pione per terminare con la descrizione dei campi scalari e delle teorie di gauge con riferimento solo alla superconduttività, Lo spettatore (soprattutto quello americano) davanti a tanta sapienza, si sente piccolo piccolo mentre tu italiano come solo Toto Cotugno può orgogliosamente rappresentarti anche in cinese – magari un po’ più avanti, ma che non sei certo Stephen Hawking – rimani affascinato e ti concentri così tanto per capire cosa “minchia” stanno dicendo che perdi però di vista tutto quello che accade intorno e gli eventi che si susseguono. Poco male, capirai cosa ci siamo persi, anzi, forse meglio così… Come da copione “mai visto” si intrecciano altre storie a côtè di questi due sbruffoni. Per esempio un elettricista disturbato da un passato tormentato, violento con la moglie e dedito all’alcool: un compagno ideale che lavora sui tralicci delle disperse strade americane di un collega pacioccone come Leopoldo Sbafetti pure latino-americano (i soliti razzisti!). Ultima, tra le varie, figura da menzionare è la figlia dello scienziato, una certa Ruby che del DNA del padre deve aver ereditato ben poco visto che il suo Q.I. è pari a quello di un cavalluccio marino fulminato però da una murena. La trama quindi si riduce al lavoro degli scienziati arrivati a un “dunque” (da non confondere con la teoria dei “quanti”) e un gruppo di terroristi che voglio boicottare questi loro esperimenti, ma scambiano la primavera per l’autunno visto che si camuffano come se fosse Halloween: una tristezza infinita tanto da irritare persino i Black Bloc meno accaniti. Anche l’occhio vuole la sua parte, perbacco! E la piccola RubyRubaCuori dove ci va a finire? Nel gruppo di “terroristi”! Peraltro così denominati dagli sceneggiatori del film, anche se andrebbero definiti quattro studenti sfigati di prima ragioneria accampati non si sa dove, ma che Woodstock lo vedono con il binocolo, anche perché crediamo non sappiano neanche cosa sia se non un nuovo gioco da scaricare per il cellulare.
L’aquila Ruby non ha neanche un dubbio, un momento di reticenza o incertezza e – senza neanche sapere chi sono questi quattro coglioncelli – li fa entrare in casa e passa loro tutti i segreti e le teorie del padre. Quando viene trascinata dal gruppo che si dirige verso la centrale nucleare – dopo averla vestita anche lei da scheletro di Dolcetto o Scherzetto (della natura) per la festa dell’oratorio – è ancora lì, con una lagna che ci fa esplodere i maritozzoli, a chiedere dove la stanno portando… Ma santo cielo, non ha nè bevuto nè fumato LSD!!! Ma non si può!!!
Riprendendo la trama, ma soprattutto il titolo del film, che diversamente non avrebbe senso, la produzione di energia illimitata non riesce ad essere contenuta e scoppia il casino (a ridajie!): fulmini, saette, fumi, crolli, incendi devastanti a chilometri di distanza, botti e ovviamente feriti con ospedali al collasso, ma anche qui – come sempre – un altro ennesimo bel chissenefrega.
Quale sarà il metodo per fermare tutto ciò??? Indovina indovinello! Ovviamente chiudere sa il belino cosa e ri-ovviamente a mano lasciandoci la pelle: questa volta tocca all’uomo di colore che cercava di coordinare le operazioni di controllo. Kunta Kinte è stato anche questa volta riscattato. L’elettricista psicopatico collabora alla salvezza di Denver (la località la scopriamo dopo 40 minuti di film usando Google Earth) mettendo la sua mano d’opera al servizio della scienza ripristinando sui tralicci i cavi (telefonici?) saltati e più che la sua mano (d’opera) ci rimette tutta la vita lasciando vedova la moglie bistrattata con la quale aveva da poco fatto pace. La prossima volta ci pensi prima, testina di cazzo.
La jeep sulla quale i quattro pirloni viaggiano compresa la cerebrolesa capotta: ferita sulla fronte, come da copione, il padre la salva mentre lei chiede disperatamente perdono perché non sapeva quello che faceva… (Gesù ti preghiamo anche noi: perdona gli sceneggiatori perché non sanno quello che scrivono!).
Scena finale al tramonto, abbraccio rassicurante del padre comprensivo e sorridente che avrebbe invece dovuto educare la figlia a badilate in testa e non con un metodo Montessori approssimato e tutto è finito. In fondo cos’è successo? Che sarà mai? Qualche città distrutta, qualche migliaio di ettari di boschi rasi al suolo, qualche migliaia di morti di cui nessuno si preoccuperà più di tanto, vite e carriere devastate, ma l’importante è tornare a casa. Home Sweet Home. Ecco quindi un film dalla durata improponibile che non è un remake, non è ritornello o un refrain, niente di tutto questo: è una visione onirica inquietante, un’allucinazione, forse un abbaglio, un delirio, un deja-vù infinito, un incubo interminabile. Dopo la visione lo spettatore sente intimamente il profondo bisogno, la primaria necessità di girare su gli “Amici” di Maria De Filippi e aspettare che inquadrino Loredana Bertè, solo così finalmente torna a sentirsi normale e soprattutto a casa, dove le braccia di Morfeo lo aspettano per superare con un lungo sonno il disturbo post-traumatico da stress subìto. Peccato che su The Lancet vi è scritto che per ottenere una remissione completa in media ci vogliono minimo dai sei agli otto mesi… Insomma, per usare un fine giro di parole in francese: Mecojoni!

 

  • USA
  • Genere: Fantascienza
  • durata 120′
  • film per la tv

Regia di Robert Lieberman, Richard Beattie

Con Steven Weber, Christina Cox, Treat Williams, Aleks Paunovic, Colin Lawrence, Jessica McLeod, Leah Gibson, Eli Goree, Michael P. Northey

 

 

 

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *