Il falso è vero

Lo scaffale di Nonno Santi

 

Fra arte e rivoluzione, Letizia Argenteri e Tina Modotti, editore Franco Angeli, Milano 2005, 320 pagine, 40 fotografie, 31,50 euro

 

Studio ponderoso, fittissimo di note, con bibliografia sterminata e curatissimo indice analitico, la ricerca della professoressa Argenteri affida la sua originalità al tentativo di “separare il mito dalla realtà” a proposito della leggendaria figura di Assunta Adelaide Luigia “Tina” Modotti (1896-1942). Informatissimo e accademico, soavemente noioso. L’ho ripreso dallo scaffale, spinto, per così dire, da una catena di libere associazioni. Ho subito pensato a Tina, leggendo su Repubblica e Corriere della Sera una sciatta rievocazione della celebre foto del miliziano morente, nella guerra di Spagna. Scatto controverso, anche nell’attribuzione: l’autore è considerato Robert Capa, ma c’è chi ritiene che la macchina fotografica fosse in mano a Gerda Taro. Nelle rievocazioni che ho letto lei viene presentata come “una ragazza che era lì con lui”. Persino Wikipedia, di cui atavicamente diffido, appare più informata a proposito dei rapporti umani e professionali fra Robert Capa e Gerda Taro. Comunque li ho associati al ricordo di Tina, anche lei presente in Spagna, con Vittorio Vidali, e, con il libro tra le mani, ho associato la celebre foto a quella che sta spopolando in rete, la bambina, dall’irresistibile smorfietta impaurita, che si arrende alla fotocamera. Insomma, ho divagato. Perché sulla foto del soldato che cade all’indietro, colpito a morte, pesa il sospetto d’essere un fake (c’è chi sostiene che, nel rullino, fotogrammi successivi lo mostrano rialzarsi). Bene, io spero, ardentemente spero che sia falsa anche la foto della bambina spaventata, in punta di lacrimoni. Spero che il fotografo l’abbia convinta con un dolcetto o un giocattolo. Non vorrei essere frainteso: la foto resta bellissima, se c’è da premiarla premiamola, ma non dimentichiamo che la forza di un simbolo fotografico non ha niente a che fare con la verità del procedimento. Chi ha anche meno della mia età, ricorda che la foto emblematica dell’alluvione di Firenze fu, sull’Europeo, il drammatico rogo dei cavalli annegati. Ma erano un paio di povere carcasse usate da Gianfranco Moroldo, che ne trasse un’immagine significativa e indimenticabile. E sulle macerie di bombe e terremoti, i fotoreporter dispongono talvolta in bella vista bambole, per sottolineare dramma e struggimento. Ho rimesso al suo posto Tina Modotti. Convinto, attraverso questa ornata divagazione (i miei amici lo sanno: per me l’arabesco è la linea più breve tra due punti), e nel clima pasquale in cui sono immerso, che le emozioni forti non hanno bisogno dell’atroce realismo di certi “documenti”. La fantasia segna il confine tra la civiltà e la barbarie.

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