Chi se lo ricorda?

Lo scaffale di Nonno Santi

Quando andiamo a casa? di Michele Farina, Bur, 430 pagine 13 euro.

“Gli hanno chiesto di memorizzare tre parole: casa, pane, gatto. Dopo qualche minuto non le ricordava più. Tre innocue parole, il vuoto”. Si può raccontare una malattia come un romanzo? Si può, anzi l’hanno fatto in molti. Ma una malattia è un’infelicità, ed è vero che se le felicità si somigliano tutte, nessuna infelicità somiglia a un’altra. Non avesse altri meriti, già solo per questo il libro di Michele Farina è appassionato e potente. Ho usato il termine romanzo, per la sua capacità di narrare: lui in realtà ha scritto un’inchiesta. Che tipo di reportage sia, lo dichiara il sottotitolo: Mia madre e il mio viaggio per comprendere l’Alzheimer. Un ricordo alla volta. Il libro è uscito in aprile, ne ho voluto rileggere alcune pagine dopo il 21 settembre, la giornata mondiale dedicata alla malattia che, come dice Farina, gli esseri umani li “svuota con il cucchiaino dell’uovo alla coque”. Lui ha visto la mente di sua madre entrare nel silenzio dell’universo molto prima che fosse il suo corpo a fare il grande salto. Il modo con cui Farina, da vent’anni giornalista del Corriere della Sera, affronta il problema, con la memoria personale e la testimonianza di pazienti, famiglie, medici, ci ricorda che la malattia dell’oblio, il morbo che ti lascia “senza il controllo del tuo corpo, del tuo film, che smonta e rimonta gli spezzoni, mescola le scene”, è esso stesso dimenticato dalla società, come fosse uscito dal radar delle istituzioni. Ma se vi ho dato l’impressione che sia un libro malinconico e recriminatorio, invece che vitale e battagliero, allora non mi sono spiegato bene.

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