Dizionario Flobert: diffidare delle imitazioni
Lo scaffale di nonno Santi
Dizionario dei luoghi comuni, Gustave Flaubert, Bur 1996, 180 pagine (disponibile anche in versione digitale)
Ho rischiato la vita. Alla mia età arrampicarsi su una scala è una scommessa (più a scendere che a salire). Ma l’ho dovuto fare: per qualche motivo che non ricordo tengo sugli scaffali più alti il Dizionario dei luoghi comuni di Gustave Flaubert, in varie edizioni (ho tirato giù il maneggevole Bur). Avete presente Umberto Eco che, richiesto del perché avesse varato La Nave di Teseo, rispose: “Perché si deve”? Ecco, la summa della stupidera composta da Flaubert deve essere consultata senza indugi. Come antidoto. Col vento di primavera le librerie stanno diffondendo un prodotto altamente tossico, presentato come “personalissima versione del Dizionario dei luoghi comuni”. Per esteso, l’etichetta recita: Giuseppe Culicchia, Mi sono perso in un luogo comune – Dizionario della nostra stupidità, Einaudi, febbraio 2016, pag. 234, euro 14,50. Si presenta come il castigamatti delle frasi fatte e dell’ottusità in cui staremmo affondando. Come diceva Arrigo Cajumi: “Che capolavoro sarebbe il Don Chisciotte se ci fosse giunto in frammenti”, che divertimento sarebbe il Culicchia se ci fosse giunto in pillole (quelle più rapide: non più di tre righe di testo). Purtroppo abbondano le riflessioni da mezza pagina e oltre, tutte mosse dallo stesso meccanismo: affermare, nell’incipit, una cosa e il suo contrario. Un movimento da automi del Settecento, al tempo dei robot. Auspico che prossime ristampe del Flaubert portino la fascetta: diffidate delle imitazioni (un luogo comune sacrosanto). E non vi cito una sola parola del suo Dizionario: sarebbe come “spoilerare” una appassionante fiction.
Dizionario Flobert: diffidare delle imitazioni